“Le pauvre Louis” di Domenico Lentini

Di Luigi sul trono di Francia se ne possono contare diciotto suddivisi tra quattro diverse dinastie: Carolingi i primi cinque, Capetingi dal sesto al decimo, l’ XI° è un Valois, il XII° un Valois-Orleans, della casata dei Borboni, infine, gli ultimi sei. Il primo tra essi cominciò a regnare nel 914 l’ultimo, il XVIII°, concluse il regno alla sua morte nel 1824 e se il V° viene ricordato come l’Infingardo o come re Fannullone, e finì avvelenato forse dalla sua stessa madre, il IX° morì invece in odore di santità e, canonizzato, divenne San Luigi dei Francesi festeggiato ancora oggi il 25 agosto di ogni anno, giorno della sua morte.

A voler essere precisi bisognerebbe ricordarne altri due, un Luigi Filippo ed un Luigi Napoleone, ma questi ultimi sono fuori dalla numerazione e partecipano di un’altra storia. Considerando i primi diciotto, invece, di tutti loro se ne potrebbe dire di bene e di male, se regnare è sempre stato un privilegio quasi mai è stata una passeggiata, però di uno solo tra essi, Louis-Auguste che regnò col numero XVI, si potrà dire che perse la corona e con la corona anche la testa. Non è che fosse una gran testa la sua, mai brillò per acume e capacità e carattere ma avrebbe potuto senz’altro conservarla come tutti gli altri suoi predecessori se i tempi non fossero mutati e se l’idea di una monarchia assoluta discendente da un presupposto diritto divino non fosse stata erosa, nella coscienza collettiva, dalla filosofia del pensiero corrente affascinato più dai lumi della Ragione che dall’oscurità dei pulpiti e delle sacrestie. Accadde in quel tempo che proletari e borghesi parigini si accorsero che se i nobili sembrava stessero in alto questo era dovuto al fatto che tutti loro da millenni stavano in ginocchio e, alzandosi in piedi, dimostrarono che tutti gli uomini, per principio, avrebbero potuto sembrare uguali. Il re è nudo! Si urlò, e ci volle una Rivoluzione per mostrarlo. Luigi, spogliato della corona e del manto d’ermellino apparve, agli occhi del popolo francese non più suddito dell’antico retaggio, nelle vesti di un pover’uomo incapace di gestire una situazione che avrebbe fatto tremare i polsi a chiunque, anche a gente molto più capace di lui; sballottato dagli uomini e dagli eventi, vittima di un ruolo troppo pesante per le sue gracili spalle, diventato una pedina ostaggio nel gioco delle altre potenze europee prese in un viluppo contraddittorio di interessi nazionali e familiari dinastici, finì per trasformarsi nel simbolo di un Ancien Régime ormai obsoleto agli occhi delle nuove classi produttive emergenti. [CLICCA QUI PER SCARICARE L’ARTICOLO COMPLETO]